C’è un filo invisibile che lega le nostre vite, un filo un po’ magico e forse infinito, che va da cuore a cuore e non si spezza mai.
L’ho capito chiaramente un pomeriggio d’autunno, mentre guardavo divertita due gattini giocare a nascondino. Ce ne sono tanti nel nostro giardino, una folta squadretta di codine pelosette e occhi furbetti. Arrivano senza invito. Si fermano per un riposino, per l’ora della pappa e alcuni, la maggioranza, vengono a conoscerci e poi decidono di restare.
Quel pomeriggio Micio e Pupi si rincorrevano tra i vasi, scavando nella terra e giocando con gli ultimi fiorellini della stagione. Pupi si nascondeva in un vaso vuoto e Micio lo cercava. Poi, d’improvviso, Pupi faceva capolino e Micio correva ad acchiappare l’amico.
Sono sempre stati due micetti uniti e complici. Pupi la guardia del corpo di Micio, il suo angelo custode, il suo scudiero ma, più di tutto, le sue orecchie. Perché Micio era un gattino sordo. Una meravigliosa, soffice palla di pelo nera, con un occhio verde e uno celeste. Sordo. Lui era nato così, non si era mai posto il problema, pensava che il mondo fosse fatto di silenzio e di colori, di persone che facevano strani movimenti con la bocca e sorridevano quando lui si avvicinava. E poi di giochi, corse, fusa, sonnellini e carezze. Tante, dolci, interminabili carezze.
Guardando quei gattini rincorrersi il mio pensiero volò a tutte le volte che li avevo visti insieme. Raramente mangiare da soli, dormire da soli, giocare da soli. Quasi sempre insieme.
E allora capii che avevo molto da imparare da quei due piccoli gatti, che affrontavano la vita fianco a fianco, nei giorni di sole come in quelli di pioggia. Che dormivano in due in una cuccia e giocavano, noncuranti del colore della loro pellicetta, dei loro occhi e del fatto che l’uno sentisse il suono del mondo e l’altro potesse farlo solo attraverso le orecchie del suo tenero amico.
Sì, c’è un filo invisibile che lega le nostre vite, un filo un po’ magico e forse infinito, che va da cuore a cuore e non si spezza mai.