Educare…
Bella parola. Ma che vuol dire?
—
Insegnare le regole?
Ammaestrare?
Farsi obbedire?
Imporre comportamenti socialmente accettabili?
…E “domare” le ribellioni adolescenziali?
—
E lo chiedi a me che faccio il pediatra, non l’educatore, e che con le mie figlie sono quasi annegato?
Ti rispondo subito: non lo so!
—
“Ma come non lo sai!?” Scrivi qualcosa! È solo un post!
Uhm… Va bene. E allora scrivo giusto per un “aperi-chiacchiera” insieme!
—
“Educare”: dal latino “ex ducare”.
Vuol dire “tirar fuori” “condurre fuori” o “accompagnare fuori”.
—
“E che ci azzecca insegnare l’educazione con “tirar fuori”?”
“Cosa si dovrebbe “tirar fuori”?”
—
Talenti! Potenzialità! Possibilità! Occasioni…
Educare, nel suo vero significato, vuol dire dare tutti gli elementi possibili per realizzare al meglio attitudini, interessi, capacità.
Per “tirar fuori” tutti i talenti che ci sono dentro!
—
“Uhau! Detto così è bello!”
“E allora niente regole! Lasciamoli liberi di fare quello che vogliono e potranno fare tutto!”
—
E invece no.
Perché per esprimere al meglio le potenzialità che abbiamo, dobbiamo imparare a gestire le relazioni e le emozioni che spesso ci travolgono…
Dobbiamo saper capire e saperci adeguare ai contesti dove ci troviamo,
imparare ad essere attraenti per gli altri e saper creare legami sani, gratificanti e utili.
In pratica dobbiamo imparare a cogliere le aspettative e i bisogni degli altri per saperli armonizzare con i nostri.
—
“Complicato!” “E come si fa?”
“Si fa” dando il controllo delle operazioni alla parte razionale del cervello, in modo però che non reprima emozioni e spontaneità, ma impari piuttosto ad evitare che queste possano travolgere.
In una parola “equilibrio”.
—
“Ma nei bambini questa parte razionale di cui parli è immatura. Lo hai detto tante volte che loro hanno un cervello emotivo!”
“Ridono e piangono con grandissima facilità e colgono le emozioni con una sensibilità straordinaria!”
Ci hai parlato del “bambinese” che è il non verbale. Ci hai raccontato che per i bambini i volti, i toni, le carezze comunicano molto più facilmente delle parole.”
E allora, come si fa ad aiutarli a gestire le emozioni che nella loro età non hanno il controllo corticale degli adulti?
—
Semplice!
C’è la corteccia critica della mamma e del papà che corre in soccorso al loro piccolo cervello in crescita per aiutarlo ad incanalare i flussi emotivi in percorsi costruttivi e gratificanti.
Questo è “educare”!
È accompagnare” (“ducare”) un piccolo cervello emotivo con un cervello razionale maturo che lo prenda per mano.
Un cervello “grande” che ami quello “piccolo” e via via lo segua, permettendogli di camminare e poi correre, ben attento che non inciampi lungo il percorso!
—
E allora…
Non ti dico quello che devi fare, ma ti offro opportunità per fare!
Non ti impongo quello che è giusto, ma ti aiuto a trovarlo da solo!
Non ti impedisco di cadere ma ci sono sempre, pronto a tirarti su!
Non devi obbedirmi perché comando io, ma mi ascolti perché io sono la tua sicurezza!
—
È un percorso. Lungo.
Il controllo del cervello di papà e di mamma si affievoliscono via via che il cervello del bambino cresce e matura…
Con il tempo non c’è più bisogno di orientare delle scelte perché il ragazzo ha acquisito gli elementi per valutarle da solo!
—
Come finisce la storia?
Finisce che un cervello via via si atrofizza, l’altro è sempre più robusto e il controllo… si inverte!
Finisce che un figlio non dice le bugie per sfuggire ad un castigo, ma per non far soffrire un papà o una mamma!
Finisce che le scelte le fa il figlio, per il suo papà e la sua mamma.
—
Insomma, “E-ducare…” non finisce mai!
—
Discorso complesso. Roba da specialisti!
Io semplice pediatra, vecchio papà in declino, mi fermo.
Era solo un’ aperi-chiacchiera del weekend!